La Flora della Riserva Naturale
La riserva si caratterizza per la ricchezza di boschi e per la presenza di una ricca flora autoctona che rappresenta un patrimonio di importante valore scientifico, soprattutto in termini di biodiversità.
La ricchezza floristica e faunistica dell’area del Vergari è forse l’elemento naturale di maggiore interesse per visitatori, escursionisti, appassionati e studiosi. Il paesaggio agrario e forestale, nei secoli, si è conservato sostanzialmente integro. In alcuni casi si possono osservare luoghi incontaminati, nei quali la copertura vegetale si mantiene inalterata ed esprime elevatissimi indici di biodiversità. Di altissimo valore estetico e paesaggistico, il manto vegetale che ricopre l’area del Vergari è un vero e proprio abito a colori variopinti, spesso a tinte forti, di cui si vestono colline e montagne.
La ricchezza floristica dell’area è legata – in larga parte – al succedersi entro spazi relativamente circoscritti, delle tre principali fasce fitoclimatiche individuabili in Calabria: Lauretum (con le sottozone calda e fredda), Castanetum e Fagetum.
Lauretum caldo
La fascia fitoclimatica del Lauretum caldo coincide con le aree poste alle quote più basse, prossime al Marchesato crotonese, come la zona bassa del Vergari, alle pendici basali del Monte Giove. Qui il clima è di tipo caldo-arido, con lunghe estati secche e siccitose. La vegetazione è quella tipica delle aree mediterranee del versante ionico: macchia bassa, gariga o prateria steppica. Si tratta di aree sottoposte a forte pressione antropica fin dall’antichità: infatti, ovunque le pendenze lo consentivano, i terreni venivano strappati al bosco e destinati alla coltura agraria. La copertura originaria venne quindi largamente sostituita dall’ulivo, dalla vite, dal mandorlo e dai seminativi a cereali. Tuttavia rimangono ampi lembi di territorio nei quali si è conservata la vegetazione originaria e nei quali è ancora possibile ammirare paesaggi ed ecosistemi agro-forestali tra i più equilibrati di tutta la fascia ionica.
La macchia mediterranea è costituita da una formazione di arbusti sempreverdi dotati di adattamenti xerofitici, tipici delle piante sclerofille. Molto fitta e a volte impenetrabile, alta da 1,5 a 5 metri, comprende molte specie cespugliose con foglie vischiose o coriacee e piante lianose. Non di rado è possibile incontrare, in questo ambiente, associazioni climax, cioè formazioni primarie ecologicamente stabili fino a quando non intervengono elementi di disturbo come incendi, tagli, ecc.. Dove, invece, l’azione di disturbo è avvenuta, sono presenti associazioni o formazioni secondarie di macchia, soggette in ogni caso ad un’evoluzione verso forme climax. Queste forme di macchia mediterranea si spingono dalle zone più basse verso l’interno, soprattutto in corrispondenza delle vallate, dove la presenza di barriere naturali rende il clima particolarmente mite.
Il tipo di foresta sempreverde più diffusa è l’oleo-lentisceto, spesso capace di dare luogo – dove non intervengono fattori di disturbo – a boschi incantevoli, ora a prevalenza di ulivo selvatico (Olea europea ssp. Oleaster) e ora a prevalenza di lentisco (Pistacia lentiscus). In quest’area sono altresì ampiamente diffuse le sugherete, non meno importanti di quelle più note della costa tirrenica, nonostante la sughera sia ritenuta specie insofferente alle condizioni di spiccata aridità. Ciò rappresenta, dunque, un elemento di grande interesse che probabilmente finora non è stato tenuto in debito conto dagli studiosi. D’altra parte è certa la presenza della sughera in quest’area fin dall’antichità, come testimoniano l’utilizzo tradizionale del prezioso sughero e l’esistenza di toponimi che al nome di questa pianta fanno inequivocabilmente riferimento. Tra le altre formazioni facilmente individuabili si possono annoverare la macchia a mirto (Myrtus communis) e a fillirea (Phyllirea latifolia) che si afferma in particolare in alcuni terreni poco evoluti con presenza di matrice rocciosa.
Alle specie principali di cui si è detto, in questa fascia si associano il terebinto (Pistacia terebinthus), l’alaterno (Rhamnus alaternus), il teucrio fruticoso (Teucrium fruticans), il laburno fetido (Anagyris fetida), il pero mandorlino (Pyrus amygdaliformis), l’euforbia rigida (Euphorbia rigida), lo sparzio infestante (Calicotome infesta), la dafne gnidio (Dafne gnidium) e il fico d’india (Opuntia ficus-indica). Quest’ultima è propriamente specie americana, ma da secoli è ormai naturalizzata nelle nostre contrade. Delle specie lianose sono presenti la clematide cirrosa (Clematis cirrhosa), la salsapariglia (Smilax aspera), la robbia (Rubia peregrina) e la rosa di San Giovanni (Rosa sempervirens).
Nonostante la forte resistenza alle avversità (in particolare agli incendi ed alla siccità dell’ambiente mediterraneo), se ripetutamente percorsa dal fuoco la macchia tende a degradarsi in forme meno evolute come la gariga. Queste associazioni vegetali, risultato di una involuzione della macchia, sono tipiche oltretutto dei terreni particolarmente poveri e inospitali. Nella gariga predominano piccoli arbusti come il cisto marino (Cistus monspeliensis), il cisto rosso (Cistus incanus), il cisto femmina (Cistus salvifolius), l’elicriso italico (Helichrysum italicum), accompagnati spesso da ceppitoni (Inula viscosa) e più raramente da timo capitato (Thymus capitatus) o rosmarino (Rosmarinus officinalis). In tutta l’area ricadente nella fascia fitoclimatica del Lauretun caldo non è infrequente incontrare isolati e monumentali esemplari di quercia (Quercus virgiliana e Quercus pubescens). Si tratta, probabilmente, di relitti vegetali che testimoniano di un’antica e diffusa presenza delle querce del gruppo della roverella anche nella fascia di territorio prossima alla costa. D’altronde, questo vale anche per numerose altre specie, ed in particolare per il pino laricio, sulla cui distribuzione nell’area in passato si riferisce nella finestra di approfondimento.
Per quanto concerne lo strato erbaceo, infine, la presenza di specie è vastissima. Qui se ne citano solo alcune, tra le più apprezzate per la bellezza dei fiori: gladiolo italico (Gladiolus italicus), narciso tazzetta (Narcissus tazetta), bellavedova (Hermodactylus tuberosus), gigaro chiaro (Arum italicum), orchidea a farfalla (Orchis papilionacea), Orchidea morio (Orchis morio), orchidea gialla (Orchis provincialis), anemone dei fiorai (Anemone coronaria), damigella scapigliata (Nigella damascena).
Il Lauretum freddo
La fascia fitoclimatica del Lauretum freddo si estende mediamente al di sopra dei 300 e sino ai 700 m. s.l.m.. Nonostante siano frequenti e sempre possibili le trasgressioni di specie da una zona fitoclimatica ad un’altra, qui prevalgono specie che più si adattano ad un clima che diviene gradualmente meno siccitoso, più fresco e umido e si afferma, come formazione vegetale dominante, la foresta sempreverde (macchia alta, da 5 a 12 m.) di querceti mediterranei con sughera (Quercus suber) fino a 800 m. s.l.m. e leccio (Quercus ilex), spesso associato all’orniello (Fraxinus ornus), che nelle vallate si spinge fino 1.200 m. s.l.m..
I boschi di leccio coprono vaste superfici e sono generalmente governati a ceduo. In passato tali boschi erano ampiamente utilizzati non solo per la produzione di legna da ardere, come avviene ancora oggi, ma anche per la produzione di carbone. La lecceta assume spesso un’elevata valenza ecologica, con una specie dominante (il leccio, appunto) accompagnata da un ricco corredo di specie secondarie come il corbezzolo (Arbutus unedo), la roverella (Quercus pubescens), l’erica arborea (Erica arborea), il pungitopo (Ruscus aculeatus), lo sparzio infestante (Calicotome infesta), l’acero trilobo (Acer monspessulanum), il tino viburno (Viburnum tinus), il terebinto (Pistacia terebinthus) e l’edera (Hedera elix), insieme alle altre specie lianose tipiche del Lauretum caldo e già citate.
Le formazioni di macchia meno evolute sono caratterizzate dalla presenza di boschetti di corbezzolo, erica arborea e sparzio infestante. Quelle maggiormente degradate formano cespuglieti a ginestra odorosa o comune (Spartium junceum) e citiso trifloro (Cytisus villosus), con presenza di rosa di San Giovanni (Rosa sempervirens) o rosa canina (Rosa canina). Nelle aree frequentemente percorse dal fuoco si afferma invece la macchia a cisto e piante annuali (terofite).
Il Castanetum
La fascia fitoclimatica del Castanetum, anche se decisamente più fredda e umida della fascia del Lauretum, è ancora fortemente soggetta all’influenza mediterranea. La vegetazione forestale è caratterizzata dalla presenza diffusa del castagno (Castanea sativa) e delle querce caducifoglie come il cerro (Quercus cerris) e la farnia (Quercus robur).
Il castagno, sia da legno che da frutto, è pianta agraria e forestale che ha influenzato fortemente la storia del territorio. Il castagno da frutto – probabilmente introdotto dai monaci basiliani e giustamente considerato nel passato, dalle popolazioni locali, l’albero del pane – ha rappresentato e rappresenta in tutta l’area una risorsa insostituibile, sia in termini economici e sia in termini paesaggistici e di tutela dell’ambiente. Negli ultimi decenni, purtroppo, le superfici a castagneto da frutto hanno subito una progressiva erosione, a causa di una colpevole disattenzione riguardo alle problematiche di mercato delle castagne. Accade quindi che il leccio alle quote più basse ed il cerro – insieme al faggio – alle quote più elevate, tendono a sostituirsi al castagneto da frutto, segnando così un’inversione rispetto al processo che, diverse centinaia di anni addietro, vide operosi monaci impegnati a diffondere la coltivazione del castagno, una delle pochissime specie agrarie capace di dare sostentamento alimentare nel difficile ambiente della montagna.
Di grande valore paesaggistico sono, in questa fascia fitoclimatica, anche i boschi di cerro (tra gli 800 e 1.100 m s.l.m.) e di farnia (tra i 1.100 e i 1300 m. s.l.m.), con sottobosco particolarmente ricco di agrifoglio (Ilex aquifolium) e di pungitopo (Ruscus aculeatus). Nelle zone più ombrose e umide le querce si alternano o si accompagnano con acero opalo (Acer opalus), nocciolo (Corylus avellana), carpino nero (Ostrya carpinifolia), ciliegio selvatico (Prunus avium), melo selvatico (Malus sylvetris), sorbo (Sorbus domestica), olmo (Ulmus minor) e, sporadicamente, con acero di Lobelii (Acer lobelii), tiglio nostrano (Tilia platyphillos) e carpino bianco (Carpinus betulus).
Lo strato erbaceo è ricco di molte specie interessanti, spesso con fiori di una bellezza straordinaria, come: anemone dell’Appennino (Anemone appennina), ciclamino napoletano (Cyclamen hederifolium), geranio di San Roberto (Geranium robertianum), origano meridionale (Origanum heracleoticum), Zafferanastro giallo (Sternebergia lutea), silene (Silene vulgaris), anice (Pimpinella aninsum).
Il Fagetum
La fascia fitoclimatica del Fagetum, tipica della zona del Villaggio Fratta, presenta caratteristiche climatiche più continentali (clima temperato freddo), con presenza di temperature rigide in inverno e di precipitazioni nel periodo estivo, che la avvicina molto alle condizioni climatiche di molte aree del centro Europa. Anche qui, tuttavia, la vegetazione – che non ha più i caratteri della tipica flora mediterranea – è particolarmente ricca di specie ed i boschi assumono aspetti unici ed irripetibili.
Le specie arboree principali sono rappresentate dal pino laricio, che occupa prevalentemente quella fascia del Fagetum che limita con il piano inferiore (Castanetum) e, alle quote superiori i 1.400-1.500 m. s.l.m., le esposizioni più calde (a sud); dal faggio, che forma estese foreste alle quote più elevate dell’altipiano silano, scendendo fino a quote relativamente basse nei valloni e lungo i versanti esposti a nord; e dall’abete bianco, che in alcune aree prossime al Monte Gariglione diventa specie dominante e che più spesso forma con il faggio boschi misti di rara bellezza e di alta valenza ecologica, nei quali si manifesta una caratteristica successione temporale faggio-abete che suscita da sempre un vasto interesse tra i selvicoltori. Spesso anche il pino laricio entra, con il faggio, nella composizione di ottimi popolamenti forestali misti, diffusamente presenti in tutta l’area silana.
Il pino laricio (Pinus laricio) è certamente la conifera più diffusa in tutta la Sila. Si tratta di una specie appartenente al gruppo del pino nero (Pinus nigra), ma con caratteristiche morfologiche ed ecologiche talmente specifiche da essere spesso indicato con il nome di pino silano. E’ una pianta elegante, dal fusto slanciato, celebrata ed apprezzata fin dall’antichità classica (dai greci e dai Romani) per la produzione di travame impiegato nelle costruzioni edilizie e navali e per la produzione della pece.
Anche il faggio (Fagus silvatica) è pianta simbolo dell’altipiano silano, giustamente considerata la regina dei boschi per l’ineguagliabile capacità di dare luogo ad un ricco humus che migliora rapidamente la fertilità del suolo forestale. Le faggete sono state assoggettate – anche nel recente passato – a tagli spesso intensissimi che hanno determinato il depauperamento di molti boschi, per poter disporre di grandi quantità di legna per la produzione del carbone. Da molto tempo, tuttavia, la carbonizzazione in bosco non è più praticata, e di questa antica arte rimangono ora solo le tracce inconfondibili costituite dalle numerose aie carbonili nelle quali è facilissimo imbattersi camminando nelle faggete.
L’abete bianco (Abies alba), infine, spesso presente con esemplari monumentali, ha una grande importanza sul piano scientifico, essendo riconosciuto come ecotipo avente peculiari caratteristiche botaniche ed ecologiche e per questo oggetto di numerosi studi.
Tra le piante arboree di un certo interesse, occorre altresì ricordare il cocomilio (Prunus cocomilia) e l’acero montano (Acer pseudoplatanus). Nel sottobosco e negli spazi aperti è facile incontrare la felce aquilina (Pteridium aquilinum), il giglio rosso (Lilium bulbiferum ssp. croceum), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), l’asfodelo montano (Asphodelus macrocarpus), il lampone (Rubus idaeus), la fragolina di bosco (Fragaria vesca), il timo serpillo (Thymus longicaulis), l’orchidea sambucina (Orchis sambucina), la viola dell’Etna (Viola messanensis ), la carlina zolfina (Carlina utzka), il cardo valdemone (Carduus vallis-demoni) e il narciso poetico (Narcissus poeticus).
Dove la faggeta è più povera, per le condizioni edafiche, si incontrano frequentemente la dafne laurella (Dafne laureola) e l’agrifoglio (Ilex aquifolium).
La vegetazione ripariale
Un cenno a parte merita la vegetazione ripariale, costituita dalle associazioni vegetali che si sviluppano lungo i corsi d’acqua e che sono legate, quindi, agli ambienti umidi. Tali associazioni comprendono sia le specie che vivono sulle sponde e sia quelle che vivono nel letto del fiume, in piena o in secca.
L’ecologia degli ambienti umidi di tipo ripariale è condizionata da diversi elementi, come ad esempio la tipologia del corso d’acqua (torrente, fiumara, fiume), la larghezza del letto, la topografia, l’altitudine, la pendenza, la portata, il substrato geologico. Nell’area oggetto di studio prevalgono i corsi d’acqua che scorrono incassati in stretti canyon o gole, tranne che nella parte alta (dove scorrono spesso in vallette aperte) e nei tratti terminali, prossimi alla costa (dove il letto, in alcuni casi, si apre in un ampio cono di deiezione, ciottoloso, che è tipico dei tratti terminali delle fiumare).
Nella parte alta dei corsi d’acqua, dove ancora la portata è spesso molto piccola, è facile incontrare il pioppo tremulo (Populus tremula). Scendendo di quota si incontrano l’ontano nero (Alnus glutinosa) e l’ontano napoletano (Alnus cordata), endemismo del sud Italia. Entrambe le specie hanno proprietà azotofissatrici (sono cioè in grado, come le leguminose, di fissare l’azoto atmosferico grazie ad un processo simbiotico). Ciò determina spesso la presenza di un sottobosco molto ricco e variegato.
Nella parte del corso in cui si affermano condizioni più marcatamente mediterranee, agli ontani si affiancano – in particolare nelle strette gole – il fico selvatico (Ficus carica ssp. syilvestris), il sambuco nero (Sambucus nigra), il bagolaro (Celtis australis) e l’alloro selvatico (Laurus nobilis) che, nei pressi delle cascate, forma veri e propri boschetti. Nei tratti più aperti compaiono il pioppo nero (Populus nigra), il salice bianco (Salix alba), il salice rosso (Salix purpurea) e il salicone (Salix caprea).
I tratti terminali, con le aride e ciottolose fiumare, vengono colonizzate da elicriso italico (Helichrysum italicum), scrofularia (Scrofularia bicolor), artemisia meridionale (Artemisia variabilis) e, in minor misura, da ceppitoni (Inula viscosa) e tasso barbasso (Verbascum macrurum).
I funghi
Grande richiamo, infine, esercita il mondo dei funghi: presenti con innumerevoli specie e spesso in quantità copiosa per la forte vocazione del territorio, essi rappresentano uno straordinario valore aggiunto in termini di ricchezza botanica, economica e culturale. Conosciuti ed apprezzati fin dall’epoca greco-romana, i funghi rappresentano un elemento importante della biodiversità dell’area, ma sono altresì collegati ad un antico sistema di saperi che si esprime con credenze, superstizioni, conoscenze gastronomiche, che nel loro insieme diventano autentica espressione culturale della tradizione rurale e contadina.
Certo è che in poche altre parti d’Italia, come in questa, i funghi hanno un posto tanto importante nella tradizione culinaria. Probabilmente la vasta gamma di specie utilizzate trae origine da conoscenze antichissime, a cui si aggiunge la diversificata tipologia dei soprassuoli forestali (dai boschi sempreverdi della fascia mediterranea ai castaneti, ai querceti, alle pinete, alle faggete, alle abetine, solo per citare quelli più diffusi) e degli ambienti agrari, che danno luogo ad ecosistemi agro-forestali con componenti abiotiche e biotiche assolutamente tipiche e peculiari. Complessivamente le specie di funghi utilizzate dalla tradizione gastronomica nell’area considerata sono circa una cinquantina.
Tra le più importanti si annoverano: galletto (Cantharellus cibarius), gallinella (Clavaria flava), rosito (Lactarius deliciosus), rosito sanguigno (Lactarius sanguifluus), poveraccio (Lactarius piperatus), porcino (Boletus edulis), porcino nero (Boletus aereus), porcino d’estate (Boletus reticulatus), porcino dei pini (Boletus pinicola), spinarolo (Boletus granulatus), colombina verde (Russula virescens), ordinale (Clitocybe geotropa), mazza di tamburo (Lepiota procera), ovulo buono (Amanita caesarea), lingua di bue (Fistulina hepatica), ecc.
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